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Omelia di Mons. Lojudice S.Messa Inizio Ministero

LEN_1232 - Copia

OMELIA DI S.E. MONS. AUGUSTO PAOLO LOJUDICE
ALLA SANTA MESSA PER LA PRESA DI POSSESSO CANONICO
E L’INIZIO DEL MINISTERO PASTORALE NELL’ ARCIDIOCESI DI SIENA – COLLE DI VAL D’ELSA – MONTALCINO

SIENA, CATTEDRALE METROPOLITANA, 16.06.2019
SOLENNITÀ DELLA SANTISSIMA TRINITÀ

[Gv 16, 12-15]: (12) In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. (13) Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. (14) Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. (15) Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà”.

Dopo il tempo pasquale, culminato nella festa di Pentecoste, la liturgia prevede, come ben sappiamo, altre tre solennità del Signore: oggi, la Santissima Trinità; giovedì prossimo, il Corpus Domini, e infine, il venerdì successivo, la festa del Sacro Cuore di Gesù. Ciascuna di queste ricorrenze liturgiche evidenzia una prospettiva dalla quale si abbraccia l’intero mistero della fede cristiana: la realtà di Dio Uno e Trino, il Sacramento dell’Eucaristia e il centro divino-umano della Persona di Cristo. Sono in verità aspetti dell’unico mistero della salvezza, che riassumono tutto l’itinerario della rivelazione di Gesù, dall’incarnazione alla morte e risurrezione fino all’ascensione e al dono dello Spirito Santo.

Il brano che oggi la liturgia ci ha consegnato (siamo nel cap. 16 di Giovanni), può essere considerato come uno spiraglio, una finestra socchiusa, ma preziosissima, che ci permette di dare uno sguardo all’interno del mistero di Dio. Gesù parla in prima persona, e parla di se stesso, dello Spirito e del Padre. `Tutto quello che il Padre possiede è mio’: affermazione, che solo Gesù può dire. Affermazione forte e timida nello stesso tempo.
Se il Figlio può dire che tutto ciò che il Padre possiede è suo, è solo perché l’ha ricevuto: l’intima relazione fra il Padre e il Figlio è nell’ordine dell’amore e del dono, non della pretesa e del vanto.

Gesù dice ancora che lo “Spirito rivelerà le cose future”: non significa che ci rivelerà la cronaca dell’avvenire, o delle curiosità sul futuro o sulla fine del mondo, che solo il Padre conosce, ma che ci aiuterà a fare una lettura della storia presente alla luce della sua conclusione, della “ricapitolazione in Cristo…”, come ci ricorda San Paolo all’inizio della lettera agli Efesini e come ci ricorderà tra i primi, Sant’Ireneo, nella sua opera (Adversus haereses III, 21,9): “Egli, da re eterno, tutto ricapitola in sé”

Una cosa è certa: se leggiamo la storia chiusi nel presente, dobbiamo concludere che l’amore è sconfitto. Ma se leggiamo la storia alla luce della sua conclusione, cioè alla luce del giudizio di Dio, già avvenuto nella morte e resurrezione di Gesù, che ha già scontato lui i miei peccati, le mie mancanze, le mie e quelle di tutti noi … allora possiamo concludere che la carta vincente è proprio l’amore. Vivendo in questo modo, come è vissuto Gesù, la comunità cristiana può diventare l’immagine terrestre, visibile e leggibile della Trinità.

Ogni essere umano sente un’insopprimibile nostalgia di comunità; ne ha bisogno per vivere e per crescere, ne ha bisogno più dell’aria che respira. Ma solo alla luce della Trinità questa constatazione acquista profondità. Siamo fatti per incontrarci, per dialogare e amare, perché siamo immagine di Dio. La vocazione alla comunità è la traccia della Trinità che c’è nell’uomo … .

Perdersi per ritrovarsi! Ci si possiede quando ci si dona; ci si auto-tra-scende, quando ci si abbassa; ci si salva quando ci si fa dono a immagine di Cristo crocifisso, accettando di perdersi sulla terra come un piccolo chicco di grano. (cfr. Gv 12,24-25).

Tutta la nostra vita cristiana è illuminata, è segnata, è trasformata dal mistero della Trinità. Dobbiamo prendere sempre più coscienza delle nostre relazioni con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. La nostra vita è una vita in comunione con le tre Persone. Siamo stati battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Il battesimo ci ha introdotto nel mistero della Trinità, nella comunione di amore delle tre Persone divine. Il segno della Croce è così importante che, ogni volta che lo facciamo, ci dovrebbe far sentire l’abbraccio di Dio, perché ci fa scrivere la croce di Gesù sul nostro corpo…: “Lo facciamo prima della preghiera, affinché … ci metta spiritualmente in ordine; concentri in Dio pensieri, cuore e volere; dopo la preghiera, affinché rimanga in noi quello che Dio ci ha donato … Abbraccia tutto l’essere, corpo e anima… e tutto diviene consacrato nel nome del Dio uno e trino” (Benedetto XVI, 30 maggio 2010).

Siena e Roma sono due città legate tra loro dal tempo della fondazione: tanti ‘provvidenziali’ motivi e spunti di comunione ci sono tra le 2 città e spero, anche tra le due chiese!

Uno di questi “spunti” (e mi scuserete se lo chiamo così) è lei, Caterina da Siena. Come scrivevo nel saluto alla diocesi di Roma, di Caterina impressiona il tono libero, vigoroso, tagliente con cui vengono ammoniti preti, vescovi e cardinali. Caterina, nel suo tempo, denuncia con franchezza mali come l’amor proprio dominante, l’insensibilità della coscienza, la lussuria, l’avarizia, la superbia, la cura di interessi materiali, l’usura, e persino l’abuso dei sacramenti per raggiungere scopi malvagi. Non usò certo giri di parole per spiegarsi: «Guarda come coloro che ambiscono ad una prelatura, se la accaparrano: basta cominciare con preziosi regali ai funzionari della curia… ». Perciò, “occorre sradicare dal giardino della Chiesa le piante fradice sostituendole con piante novelle, fresche e olezzanti”. Era l’ideale supremo a cui aveva ispirato tutta la vita, spendendosi senza riserva per la Chiesa. Sarà lei stessa a testimoniarlo ai suoi figli spirituali sul letto di morte: “Tenete per fermo, carissimi, che io ho dato la vita per la santa Chiesa” (beato Raimondo da Capua, Vita di Santa Caterina da Siena). E ancora: «Cioè dico, Santissimo Padre, quando si ha a mettere li pastori in questo giardino della santa Chiesa, che essi siano persone che cerchino Dio, non prelazioni».

Caterina è anche compatrona d’Europa: altro motivo della sua grande attualità attualità. Papa Francesco, ricevendo i capi di Stato e di governo dell’Unione Europea alla vigilia della celebrazione del sessantesimo di essa (24 marzo 2017), ha affermato: «All’origine della civiltà europea si trova il cristianesimo, senza il quale i valori occidentali di dignità, libertà e giustizia risultano per lo più incomprensibili». E questo perché l’Europa «è una vita, un modo di concepire l’uomo a partire dalla sua dignità trascendente e inalienabile e non solo come un insieme di diritti da difendere o di pretese da rivendicare. All’origine dell’idea d’Europa vi è la figura e la responsabilità della persona umana col suo fermento di fraternità evangelica».

Il richiamo alle «radici cristiane» è tutt’altro che un invito nostalgico a ritrovare nel passato la risposta per le inquietudini del presente: ciò che urge è rilanciare la grande ispirazione della cultura europea, legata da una parte all’idea di «persona», base di ogni affermazione del valore assoluto dell’essere umano, dall’altra alla concezione della storia come aperta verso un progresso possibile e orientata verso una meta sperata, sempre bisognosa di un’etica fondata su quella solidarietà e reciprocità, che il comandamento nuovo dell’amore richiede. Sono queste le radici che hanno suscitato innumerevoli storie di fede e di operosità nei più svariati contesti della terra europea (cfr. B. Forte) compresa la storia di Caterina.

Una diocesi, tre nomi, tre realtà: Siena, Colle di Val d’Elsa, Montalcino; tre splendidi luoghi con tratti, bellezze e caratteristiche diverse. “Tre in uno”, per la dirla con la festa di oggi, con il mistero più profondo e più vero di Dio.

Il primo atteggiamento di chi giunge nuovo credo debba essere il rispetto: per conoscere, capire, “entrare dentro” le varie situazioni della realtà. Certo, non sono qui per caso, per una gita, ne per un ritiro spirituale (come mi è tante volte capitato, in particolare dalle care monache di Lecceto, con i seminaristi del Seminario Romano …). Mi unisco a quello che direbbe Agostino, in una ben nota frase: “Sorreggetemi però anche voi in modo che, secondo il precetto dell’Apostolo, portiamo l’un l’altro i nostri pesi e così adempiamo la legge di Cristo. Se egli non condivide il nostro peso, ne restiamo schiacciati; se egli non porta noi, finiamo per morire. Nel momento in cui mi dà timore l’essere per voi, mi consola il fatto di essere con voi. Per voi infatti sono vescovo, con voi sono cristiano …” (discorso 340).

Per voi sono vescovo: sono chiamato a conoscervi, a sostenervi, a consolarvi ma, in modo particolare, ad annunciarvi il Vangelo, a confermarvi nella fede, ad aiutarvi a camminare insieme, a condividere i grandi ideali: dove non ci sono grandi ideali ci sono solo piccoli interessi; a dialogare: Gli Atti degli Apostoli ci raccontano che la Chiesa, nata a Pentecoste, riesce a esprimere la buona notizia nelle diverse lingue della terra (cfr. At 2,1-11). Subito la chiesa per bocca di Pietro e degli altri annuncia il Cristo, e ciascuno sente risuonare tale annuncio nella propria lingua. Nel giorno di Pentecoste le persone presenti non devono assumere un’altra lingua, ma è la chiesa che annuncia il vangelo nella loro lingua, dunque fa innanzitutto opera di dialogo. Sì, la chiesa nasce dialogica, è per sua natura capace di un dialogo plurale con le diverse culture e genti della terra a cui è inviata dal Risorto (cfr. At 1,8). Il dialogo non è per la chiesa una possibilità, un’opzione che essa può assumere o rifiutare, non è un atteggiamento che dipende dalla moda, neanche dai segni dei tempi: è semplicemente la sua postura, la sua maniera di essere fedele al Signore e di stare nella compagnia degli uomini. Non è un caso che la chiesa abbia subito saputo dialogare con il mondo, addirittura con il mondo a lei ostile dell’impero romano, in un’epoca in cui subiva una persecuzione a tratti persino cruenta. Anche in quei primi tre secoli i cristiani hanno dialogato con i cittadini dell’impero, con la cultura filosofi¬ca pagana, con le diverse genti del Mediterraneo. E lo hanno fatto mostrandosi cittadini leali verso l’autorità politica romana, sottomettendosi alle leggi (cfr. Rm 13,1-7) e cercando di vivere in pace con tutti (cfr. E. Bianchi).

Vorrei sintetizzare con 3 immagini il programma di partenza del mio servizio a questa diocesi (restando con i piedi per terra!): chiedendo a tutto il popolo di Dio di condividerlo.

La prima la prendo da San Paolo ai Filippesi: “Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo. Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto, questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la mèta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù” (Fil. 3,12-14).

La seconda: “ripartiamo dal bene”, dal grande bene che c’è in ciascuno di noi, bambini e anziani, giovani e adulti, sacerdoti e religiosi.

La terza l’ho trovata sulla porta Camollia, una delle porte senesi, dove dice:
«Cor magis tibi Sena pandit» «Siena ti apre un cuore più grande
della porta che stai attraversando”

Sant’Agostino concludeva così il suo ‘Discorso 340’ : “… preghiamo insieme, dilettissimi, perché il mio episcopato giovi a me ed a voi: a me infatti gioverà se dirò chiaramente le cose che si devono fare; gioverà a voi, purché mettiate in pratica quanto ascoltate. D’altra parte, se avremo pregato di continuo noi per voi e voi per noi, con perfetto slancio di carità, con l’aiuto dei Signore, raggiungeremo felicemente la beatitudine eterna. Che si degni concederla egli che vive e regna per i secoli dei secoli. Amen”.

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