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Nei meandri del fine-vita – Conferenza di bioetica all’Accademia dei Fisiocritici

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Un tema sempre cogente quello del fine-vita, sia per la normativa presente, sia per le situazioni specifiche venute alla ribalta della cronaca con la recente sentenza della Corte costituzionale che, dopo più di cinque mesi, ha espresso il proprio parere sul suicidio assistito.

Il titolo della conferenza di mercoledì 16 ottobre, organizzata dall’Accademia dei Fisiocritici : <Nei meandri del fine-vita> non poteva essere più pertinente: meandro, dal nome del fiume dell’Asia Minore, ci indica serpeggiamenti, viaggi tortuosi e pieni di dubbi e difficoltà.

Ad elencare alcune importanti problematiche inerenti all’argomento ha iniziato il presidente della Fondazione Meyer di Firenze e membro del Comitato nazionale di Bioetica, prof. Gianpaolo Donzelli, con una toccante relazione dal punto di vista umano.

Il professore ha preso in considerazione il fattore tempo, l’unica risorsa non recuperabile: nella malattia questo sovrasta ogni realtà.

Tempo e spazio nella medicina devono trovare una loro collocazione: il rapporto medico-paziente non può essere una relazione quasi esclusivamente biologica, va recuperato l’ascolto della persona, considerata nella sua interezza e non frantumata in organi ed apparati.

La tecnologia (non la scienza!) impoverisce la relazione, dà un ruolo marginale alla parola, dimentica la dignità dell’essere umano.

La bioetica indica che la medicina deve tener conto degli aspetti biologici, ma anche degli aspetti psicologici, spirituali. È necessario, pertanto, guardare ad una medicina personalizzata, ad una terapia caso per caso e  non applicare un protocollo valido per tutti-ha detto il prof. Donzelli.

È opportuno curare il dolore, che non è un sintomo, ma una malattia e ricorrere, se è il caso,con il parere favorevole del paziente,che deve essere  ben informato, all’abbandono delle cure intensive per le cure palliative; il medico,infine, deve onorare la vita sempre, guardare il malato con occhi nuovi, con umiltà, onestà, trasparenza.

Sulla DAT, la legge che consente di esprimere le direttive anticipate sul fine-vita ha espresso le proprie perplessità il prof.. Gabbrielli, medico legale di Siena, rilevando che per dare un consenso occorre essere liberi, trovarsi in una posizione paritaria che certamente non esiste nel rapporto medico-ammalato.

Altro presupposto essenziale per un corretto consenso è l’informazione, spesso carente, che potrebbe portare il paziente, concorde con il medico, a pianificare le cure, a decidere anche l’eventuale interruzione di idratazione e nutrizione con ricorso alla sedazione che, secondo il relatore, non può essere considerato suicidio assistito.

Il dottor Bellieni, pediatra di Siena e membro del Comitato di Bioetica della Regione Toscana, ha parlato di quattro fattori definiti <paradossi>.

Il primo è l’accanimento terapeutico che non deve aver luogo di fronte a cure inutili, insopportabili, ma, come esprime la legge 219, essere sospeso tenendo conto della salute psico- fisica, nel pieno rispetto della dignità umana.

Secondo paradosso è il suicidio medico assistito, del resto una questione numericamente limitata-ha detto il relatore- ( negli ultimi 20 anni circa 100 italiani sono andati a morire in Svizzera) . Tre questioni tendono ad ingigantire il problema: l’ansia da controllo dell’imprevisto, la scomparsa di diritti sociali e l’emergere dell’edonismo individuale, l’aziendalizzazione della sanità, per cui il medico non pensa più, obbedisce solo ai protocolli. Ed i molteplici protocolli ed esami (terzo paradosso) non giovano al paziente, sono utili esclusivamente alla struttura ospedaliera.

Occorrerebbe invece-ha affermato il dottor Bellieni, presentando il quarto paradosso, <dell’abbondanza>- moltiplicare sì gli investimenti, ma in cose utili, tali la cura del personale, che dovrebbe essere maggiormente motivato al proprio compito e la cura dell’ambiente da risultare idoneo, sereno, accogliente per ogni paziente.

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