
Oggi, 2 aprile 2025, ricorrono i 20 anni dalla morte di Giovanni Paolo II. Ripensando alla sua figura, in molti di noi si attiveranno certamente tanti ricordi personali e collettivi. Impossibile fare un ritratto a tutto tondo del Pontefice polacco in poche righe. Il pontefice polacco fu a Siena il 14 settembre 1980 per una storica vista pastorale accolto da Mons. Mario Castellano. Il Pontefice tornò di nuovo a Siena il 30 marzo 1996 accolto da Mons. Gaetano Bonicelli.
In fondo i testi delle omelie pronunciate nel 1980 e nel 1996.
Nell’Articolo qui di seguito Vincenzo Vitale per la rivista Credere racconta questa straordinaria figura di Pontefice di santo:
Il mio primo ricordo nitido su di lui sono le immagini televisive dell’attentato in piazza San Pietro il 13 maggio 1981. Ebbi la fortuna, poi, da novizio, di partecipare a una sua Messa nella residenza estiva di Castelgandolfo, nel 1996: rimasi impressionato a vederlo immerso a lungo in preghiera, in ginocchio, prima della celebrazione. Ho partecipato alla Gmg del 2000 a Roma, quando era già in fase avanzata della malattia, ma attirò a Roma oltre 2 milione di giovani (vedi i servizi nel giornale di questa settimana a pag. 32-35). Ed ebbi la possibilità di mettermi in coda, insieme a una folla immensa, per l’ultimo saluto in quell’aprile del 2005.
Giovanni Paolo II ha guidato la Chiesa in un ampio arco di tempo. Fu il primo Papa a percorrere il mondo in lungo e in largo, con ben 170 viaggi apostolici in 129 Paesi, tanto da essere definito il Papa “globetrotter”. Ma amava anche visitare le parrocchie di Roma. Amava conoscere le persone e i popoli e certamente gli va riconosciuto un carisma di comunicatore e un calore umano non comuni. Come dimenticare quel suo «Se mi sbaglio mi corrigerete» quando si affacciò su piazza San Pietro dopo l’elezione, o quell’uscita in dialetto romanesco con i preti della sua diocesi: «Damose da fa’! Volemose bene! Semo romani!».
Ma al di là degli aspetti di “colore” sono tante le cose che ci lascia in eredità. A partire da quell’invito a inizio pontificato a superare la paura, la rassegnazione, ad avere coraggio, a «spalancare le porte a Cristo». Segnato dalle tragedie del Novecento – il nazismo, la Shoah, i regimi comunisti dell’Est – la difesa della dignità dell’uomo è stato un fil rouge del suo pontificato.
«La sua Chiesa», scriveva Andrea Riccardi nel 2020, «senza ambizione al predominio, voleva essere l’anima e la compagna dei popoli e degli uomini sulla via della liberazione, perché non si perdesse la speranza». Si inscrivono qui le sue critiche al comunismo così come al capitalismo “sfrenato” (vedi le sue encicliche “sociali” Laborem exercens e Centesimus annus), l’impegno per la remissione del debito ai Paesi poveri («Parlo a nome di quanti non hanno voce»), la denuncia della mafia nella Valle dei Templi nel 1993 e della guerra in Iraq voluta dagli Stati Uniti nel 2003. Ma ha anche regalato alla Chiesa il Catechismo della Chiesa cattolica (1997), ha coltivato e dato impulso all’ecumenismo, è stato il primo Papa a varcare la soglia di una sinagoga, il 13 aprile 1986.
Non si può dimenticare l’incontro con i rappresentanti delle varie fedi il 27 ottobre 1986 ad Assisi: difficile immaginare papa Francesco ad Abu Dhabi senza la premessa storica dello “spirito di Assisi”. Come non si possono dimenticare le richieste di perdono per le colpe storiche della Chiesa per il Giubileo del 2000. So di aver tralasciato tanto altro. Andrea Riccardi ricorda: «Quando era quasi alla fine, nel 2003, gridò: “Ma tutto può cambiare! Dipende anche da noi». E un pezzo di storia e di mondo (a partire dalla fine del regime comunista in Polonia), anche grazie a lui, sono cambiati davvero. Ma alla base di tutto, c’era «un uomo abitato da forza e fede». E dalla speranza cristiana. Una lezione valida ancora, in questo anno giubilare, per un mondo troppo, davvero troppo, rassegnato.
DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II A SIENA: